Educare, che mestiere difficile!

EDU.. CARE... che mestiere difficile!

"Una cosa però te la devo dire: passata la paura e unite le forze, da noi grandi mi aspetterei qualcosa in più. Che se nella casa dell'educazione si riesce solo a vietare, non vedo dove si possa riuscire a educare."

Stavo leggendo un libro IL PAESE SBAGLIATO, di Mario Lodi, mi sono soffermata sulla riflessione di una scuola aperta a tutti. Cosa vuol dire una scuola aperta a tutti? Dove i bambini possono esprimersi ed essere sé stessi, nel rispetto altrui. 

Educare non significa proibire significa guidare, condurre. Condurre verso dove? Verso la consapevolezza di sé stessi, verso una maturità individuale e collettiva. Lo Star bene a scuola , può essere l'obiettivo unificante di molte attività. Ma ricordiamo che l'insegnante non può promuovere lo star bene a scuola se lui stesso bene non ci sta. "C'è una terribile somiglianza fra le celle di una vecchia prigione e le aule delle scuole; la differenza è che i prigionieri in cella sono lasciati soli con i loro pensieri, nelle aule i bambini imparano che devono ripetere ciò che gli viene detto, ed è giusto. E' giusto perché l'ha detto il maestro , il genitore, il prete o il nonno." Come siamo passati dall'educazione rigida di una volta (picchiare, gridare, i castighi..) all'educazione moderna? Eppure sentiamo spesso dire che due sculaccioni non hanno mai fatto male a nessuno. E i giovani di oggi non hanno rispetto, era meglio come si educavano una volta.. E su questo potremmo anche essere tutti abbastanza d'accordo, quando ci vuole ci vuole. Ma..

Don Lorenzo Milani diceva (Esperienze pastorali): Lo scolaro in una scuola autoritaria fondata sui voti, studia perché ci sono i voti. Se strappi il voto dalle mani dell'insegnante tutto il castello crolla. Lo schema entro cui si forma lo scolaro è terribile, rigido e funzionale: spiegazione, ripetizione, voto. Dettato, tema, problema, voto. Nella scuola uno strumento di asservimento è anche il libro, siamo liberi di scegliere quello che vogliamo, ma non di rifiutarlo.

Bisognerebbe mettere al centro della scuola i ragazzi, dare motivazione senza giudizio, creare intorno a loro una comunità di compagni che non gli siano antagonisti, senza troppo spirito di competizione ma dare valore al singolo. 


Poi ci sono i genitori. Il vero malessere dei figli a volte. Più cercano di volere il loro bene, di accontentarli e di non fargli mancare nulla e più fanno il loro male. Non tutti, non sempre, ovviamente. Un tempo la priorità era mangiare, poi studiare, oggi essere felici. Cosa vuol dire essere felici? L'ultimo i-phone di tendenza, le scarpe di marca, il viaggio costoso, la serata in discoteca, e altri beni non di prima necessità. Abbiamo confuso i beni materiali con la felicità. 

«I figli vanno amati: soltanto questo. E amare significa imparare a lasciar andare. Chi crede che essere genitore sia un diritto, e non un dovere, finisce per indottrinare i propri figli anziché educarli. I nostri figli però – come scriveva Khalil Gibran – non sono nostri, non vengono da noi ma attraverso di noi, non bisogna considerarli di nostra proprietà: non devono essere costretti a pensarla come noi, a fare la nostra stessa vita, perché hanno i loro pensieri, che possono essere simili ai nostri, o a volte contrari, e in ogni caso è bene che li abbiano e che se li tengano stretti. I tuoi figli non sono figli tuoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa. Tante volte ho sentito dire da un genitore: io devo sistemare mio figlio. “Sistemare”. Come un vaso cinese. Hai messo al mondo un oggetto o hai messo al mondo un’anima? Se hai messo al mondo un’anima non la devi sistemare, l’anima va dove deve andare. Che messaggio diamo altrimenti? Siccome tu non ce la fai, ci pensa papà. Un genitore è un istruttore di volo, deve insegnarti a volare. Non dovrebbe sperare che devi restare a casa fino a sessant’anni. Questo è egoismo, non c’entra niente con l’amore. L’amore è vederli volare…»

E questo si rispecchia anche nella scuola. I genitori che chiedono la certificazione. Certificazioni ormai ovunque. Alunni che pretendono di avere il PFP (il Progetto Formativo Personalizzato, è un documento per studenti-atleti, ovvero uno strumento didattico del MIUR che permette di conciliare studio e sport agonistico attraverso percorsi formativi flessibili e personalizzati) perché loro si allenano duramente. Ci sono strumenti utili e come tali devono essere usati, con giudizio e senza abusarne. Questo non vuol dire demonizzare l'aiuto ma anzi sfruttarlo se possibile ma sempre ricordandosi che il vero sportivo resta umile, si rimbocca le maniche non sceglie la scorciatoia più facile e soprattutto non abusa di un suo diritto, lo usa con coscienza e consapevolezza.

Qui subentra il nostro ruolo di educatori. Educatori scolastici, motori e sportivi. 

Educatori morali.



Fossa Elena

 




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